Introduzione alla profondità di campo
Teoria e tecnica della fotografia moderna: la profondità di campo
Ricevo molte domande sul mio lavoro: la più frequente è quella che propongo qui, come spunto per iniziare il discorso. Se troverò sufficiente riscontro tra i lettori, partiremo da questo tema per sviluppare un vero e proprio manualetto interattivo della videofotografia moderna. Progetto ambizioso? Forse: ma a noi piacciono le sfide vere. Voi fatemi sapere cosa ne pensate. Iniziamo?
Essere o non essere, diceva Amleto. Traslando, prosaicamente ma non senza un poco di pathos: lavorare con una macchina da presa o con una telecamera?
Due versanti della stessa montagna, due ambienti affini ma percorsi da differenze anche sostanziali. Da qualunque parte decidiate di attaccare la salita, sempre l’esperienza e la conoscenza saranno le discriminanti per riuscire nell’impresa.
Per proseguire senza incidenti dovrete dotarvi di concentrazione, mezzi adatti, umiltà e pazienza.
Ma per raggiungere la vetta, per esplorare territori ancora insondati, per fare la differenza, dovrete prima di tutto dimostrare di conoscere a fondo il vostro equipaggiamento. Sapere come usarlo, quando e in quali circostanze.
Dovrete sapere distinguere ogni singolo componente della vostra attrezzatura, per evitare che qualcosa ceda all’ultimo, lasciandovi a metà strada, costretti a rinunciare.
Uno sport pieno di profondità (di campo)
La pratica di regia somiglia ad uno sport estremo. Null’altro che la vostra conoscenza vi lega alla meta. Per arrivare, spesso la strada non è battuta: quindi occorre che il percorso risieda prima di tutto nella vostra testa, nella vostra fantasia.
Che abbiate il coraggio di immaginare un arrivo possibile.
In questa corsa verso il traguardo, scegliere con cura il vostro mezzo di locomozione è essenziale.
Come non si può correre una mille miglia con un gatto delle nevi, così è impossibile portare una spider in vetta e pretendere di tagliare delle piste ancora fresche.
Se la telecamera è di certo il mezzo più agile e duttile per riprendere immagini, è ormai chiaro che solo la macchina da presa può tradurre in modo realistico le atmosfere e le sensazioni che un filmato deve possedere.
La gestione della luce, dei colori, la forza con cui le immagini sono impresse e catturate: tutto concorre alla riuscita del progetto, ogni elemento avvicina a quel traguardo ideale che noi siamo soliti chiamare “immagine definitiva”.
Ma se la gestione di una telecamera è grossomodo semplice, una cinepresa può riservare anche amare sorprese.
Le moderne tecnologie reflex HD-DSLR hanno semplificato in parte queste variabili, riducendo le incognite e permettendo sistemi di lavoro più fluidi ed efficaci.
Tuttavia ancora molte sono le storture, i bivi, le ambiguità. Tenteremo di risolverle in questa serie di tutorial, partendo dalle più comuni per arrivare alle più complesse.
Questa prima batteria di articoli ha la presunzione di voler spiegare cosa sia la profondità di campo, dunque risolvere una delle questioni più comuni che ci si trova ad affrontare quando si lavora con macchine da presa o con le più moderne reflex digitali HD-DSLR dotate di ottiche fotografiche o cinematografiche.
Terminologia minima
Partiamo da una definizione: cos’è la profondità di campo?
Semplice: è quella distanza spaziale – davanti e dietro il soggetto inquadrato – dove tutto è a fuoco. Diciamolo meglio: tecnicamente esiste solo un punto (molto circoscritto) dove il soggetto è pienamente a fuoco; questo punto verrà chiamato fuoco reale.
Ogni altro punto, in base alla distanza dal fuoco reale, sarà sempre e comunque fuori fuoco. Ma poiché il fuoco reale tende a trasformarsi in sfocatura in modo molto graduale, esiste una zona spaziale tollerabile, all’interno della quale il soggetto “sembra” a fuoco anche se non è “precisamente” a fuoco.
Questa regione spaziale, dove le sfocature sono impercettibili oppure tollerabili, viene chiamata profondità di campo.
Un particolare da chiarire subito: fissato un punto specifico in cui il soggetto è perfettamente a fuoco, la profondità di campo si estende sia dietro il soggetto (vale a dire più lontano dalla macchina da presa) sia davanti (più vicino).
Un dato inoppugnabile è che la lunghezza della profondità di campo dietro il soggetto è sempre più grande della distanza davanti il soggetto.
La basi della profondità di campo
La profondità di campo è dunque una misura spaziale che varia in base alla qualità delle lenti usate, alla luce, all’apertura del diaframma e molte altre variabili che chiariremo più avanti. I termini con cui ci riferiremo alla profondità di campo sono stretta e larga.
Capire quanto è vasta la profondità di campo è essenziale per sfruttare al meglio le sfocature. Compito della sfocatura, infatti, è quello di mettere in evidenza alcuni elementi dell’inquadratura rispetto ad altri. Insomma: la profondità di campo è utile per sottolineare delle cose e per celarne o renderne trascurabili altre.
Immaginiamo uno sfondo poco appropriato: con la lente giusta (solitamente un 50mm oppure un 85mm) ed un sapiente uso della profondità di campo, tutta l’attenzione confluirà sul soggetto, e dello sfondo si intuiranno solo vaghi contorni: quel tanto che serve a renderlo utilizzabile per la ripresa.
Al contrario, una profondità di campo molto larga permette di tenere a fuoco una porzione di spazio più vasta, così da rendere percepibili e distinte più aree all’interno della stessa inquadratura. Pensiamo ad un totale, girato con lenti come un 16mm, 24mm ecc. Per questo tipo di inquadratura è essenziale che la profondità di campo sia abbastanza larga.
Se la profondità fosse troppo stretta avremmo stanze dove – per esempio – il tavolo è a fuoco e il muro fuori fuoco. Oppure potremmo rischiare che il personaggio – anche soltanto muovendosi un poco – esca dalla zona di visione perfetta e appaia sfuocato. Troppo, anche per il più sfrenato amante delle tinte blur.
Se abbiamo capito cos’è la profondità di campo e a cosa serve, occorre adesso comprendere come si attiva, come si regola e come si domina.
Le variabili della profondità di campo
Principalmente ci sono tre fattori chiave che regolano la profondità di campo. Queste sono:
- l’apertura del diaframma
- la lunghezza focale della lente
- la distanza tra soggetto e obiettivo
In base alla regolazione di questi tre fattori la profondità varierà anche sensibilmente. Per questo è importante conoscere – come dicevamo poco sopra – le caratteristiche di ciascuna parte del nostro equipaggiamento-attrezzatura e il comportamento di ciascuna lente.
Entreremo nel dettaglio nella prossima lezione. Intanto aspetto una vostra risposta, un vostro commento, un vostro video-messaggio. Grazie a tutti.
Ogni marchio ed ogni immagine vanno intesi a scopo di esempio didattico e appartengono ai legittimi proprietari.
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Attendo le prossime. Finite le questioni per così dire tecniche mi piacerebbe se tu affrontassi il perchè dell’utilizzo di più o meno profondità.
Ultimamente vedo in giro, e ne faccio parte anch’io, una volontà, un desiderio di esasperazione della poca profondità. Probabilmente la fame di ciò che non si è mai potuto avere ora provoca in tutti l’esagerazione, l’esaltazione dell’effetto. ecc. ecc.
Personalmenet credo comunque l’utilizzo rimanga soggettivo ma il riscghio di perderci lì senza pensare al cosa (un problema ventennale in Italia) è alto.
Leon Gaig
Concordo sulla tesi, Leon: a generare questo profluvio di blur è senza dubbio la novità. L’avere per le mani un oggetto dotato di caratteristiche pressochè impensabili fino a pochi mesi fa (basso budget, abilità in low light, alto bitrate, gestione in fondo semplificata della depth of field ecc.) ha prodotto ipercinesi e conformismo stilistico.
Passata la piena resteranno gli alberi solidi. Come sempre è, del resto: prepariamoci.
Mi sembra tutto molto chiaro fin’ora, aspetto anche io le prossime!
Stefano
Le trovi pubblicate qui di seguito. A presto e grazie!
L’argomento è molto tosto, ma sto cominciando a capirci qualcosa. Grazie per la spiegazione.
Aldo
Benissimo: il più grande regalo che posso ricevere è proprio commenti di questo tipo. 😉
A presto Aldo!